Abbiamo scollegato in automatico la tua precedente sessione
Puoi navigare al massimo da 3 dispositivi o browser
Per continuare la navigazione devi scollegare un'altra sessione
Da mobile puoi navigare al massimo da 2 dispositivi o browser.
Per continuare la navigazione devi scollegare un'altra sessione.
Le ultime notizie sulla guerra, in diretta
Salva questo articolo e leggilo quando vuoi. Il servizio è dedicato agli utenti registrati.
Trovi tutti gli articoli salvati nella tua area personale nella sezione preferiti e sull'app Corriere News.
Piero Maranghi racconta il grande architetto e una stagione che cambiò il capoluogo lombardo. E sulla casa degli Atellani, destinata a passare al francese Arnault: «La nostra è stata una forse maldestra ma generosa restituzione alla città. Con noi o senza di noi»
Piero Portaluppi, architetto, urbanista e storico dell’architettura in una foto del 1955. Nato a Milano nel 1888, morì nel 1967 (foto De Biasi/Mondadori portfolio)
Se mai vi capiterà una mattina all’alba di attraversare piazza Duomo, a Milano, fateci caso. Dico all’alba perché è il momento più propizio per cogliere la fuga di linee, le variazioni di colore e le geometrie labirintiche del sagrato, che in altre ore del giorno e della notte è offuscato dal ben noto via vai. A quell’ora non vi sfuggirà la purezza del disegno, che riflette la facciata della chiesa e dona al passo un ritmo elastico. Vi accorgerete allora di avere ai vostri piedi un’opera di Piero Portaluppi. Se per un caso fortunato aveste tempo e voglia di continuare il vostro giro mattutino per il centro di Milano, sarà difficile - anzi impossibile - evitare di imbattervi in qualche edificio da lui progettato: l’Arengario sempre in piazza Duomo; la caserma dei carabinieri di piazza San Sepolcro; il palazzo della Banca Commerciale Italiana di Largo Mattioli; villa Necchi-Campiglio; il Planetario Hoepli; la casa degli Atellani, dove gli eredi di Portaluppi tuttora vivono...
Il Palazzo dell’Arengario, a Milano, costruito fra il 1936 e il 1956 su progetto di Portaluppi, Muzio, Galmanini, Magistretti, Griffini (foto di Mondadori Portfolio/Archivio Carenzi/Marta Carenzi)
La lista è lunga. Se poi porterete con voi, a mo’ di guida - sebbene piuttosto voluminosa - il sontuoso libro Piero Portaluppi appena uscito per Skira , con occhio infallibile inizierete a decifrarne lo stile e riconoscerne i segni distintivi, come le celebri decorazioni a zig-zag.
Piero Portaluppi, architetto, urbanista e storico dell’architettura in una foto del 1955. Nato a Milano nel 1888, morì nel 1967. (Foto di Mario De Biasi Per Mondadori Portfolio)
Enfant prodige dell’architettura di inizio ‘900, beniamino della borghesia imprenditoriale milanese, Portaluppi è uomo dai mille talenti . Di un eclettismo raro e disinibito, mescola, senza inutili complessi né il minimo imbarazzo, antico e moderno. Sprezzante dei dogmi e delle mode, negli edifici più riusciti trova una sintesi disinvolta tra stili sideralmente distanti tra loro. Le fotografie di Ciro Franck Schiappa, nitide come fotografie d’arte, catturano tutta l’atmosfera sospesa dei suoi salotti senza tempo, dei suoi androni silenziosi, delle sue porte socchiuse, come in un film di Wes Anderson. Il volume è edito da Piero Maranghi che di Portaluppi è pronipote.
La casa degli Atellani con la vigna di Leonardo al magnate Arnault di Matteo Persivale
Villa Necchi Campiglio raccontata dal Fai
Gli edifici di Portaluppi nelle schede dell’Ordine degli Architetti
Il bisnonno in uno dei suoi rari scritti autobiografici confessa di aver avuto 25 carriere, non contando quella di architetto. Lo stesso si potrebbe dire del discendente: editore di Classica HD, emittente televisiva interamente dedicata alla musica classica in onda su Sky; regista d’opera; conduttore televisivo di una trasmissione di nicchia e di culto - non per forza un ossimoro -, Almanacco di Bellezza ogni giorno su Classica; ristoratore; pescatore di acqua dolce e salata e molte altre cose ancora. Ha iniziato giovanissimo la sua carriera dedicandosi al catering.
Piero Maranghi, bisnipote dell’architetto Piero Portaluppi (foto Imagoeconomica)
Quando ci incontriamo alla Bottiglieria Bulloni ha una mano fasciata, per via di un’ustione che si è procurato ai fornelli. La passione per la cucina non l’ha abbandonato. I suoi risotti sono leggendari. Alto, corpacciuto, nonostante la fasciatura alla mano, riesce in contemporanea a risponde al telefono, ingarbugliarsi negli auricolari, rassettare la camicia nei pantaloni e impartire le ultime raccomandazioni.
Per non cadere nell’agiografia, gli chiedo a bruciapelo quale sia l’edificio più brutto attribuibile a suo bisnonno. Lui non si scompone manco per niente e ribatte fulmineo: «Molti, troppi. Nel Dopoguerra è un uomo annichilito. Quando muore il figlio Tuccio, partito volontario in guerra, invecchia di colpo. La sua parabola umana riflette quella del Paese. Un’ascesa vertiginosa e poi all’improvviso lo schianto . Gli anni della dittatura fascista si son rivelati per quello che erano, una feroce ubriacatura e i postumi della sbronza sono devastanti. Il paese è incenerito, così Portaluppi. Che era stato un mattatore della città, in architettura, ma anche in famiglia, in società. Con estro, eleganza, fantasia e humour aveva sedotto tutta Milano, allora una città piuttosto austera e ingessata . Nel Dopoguerra rimane un mattatore nei restauri. Penso alla Università Statale, all’Ospedale Maggiore. Non a caso: si aggrappa al passato, ma è superato. Non gioca più».
Quindi, l’edificio più brutto? «La casa dello studente a Parigi. Un Le Corbusier che non ce l’ha fatta».
Il più bello? «Quando ero bambino, credevo che Milano l’avesse costruita tutta lui. Tutta quanta. Camminavo estasiato per la città. In famiglia c’era una certa ritrosia, una sorta di pudore a parlare di lui. Così come, per ragioni diverse, nel mondo dell’architettura. Circola un aneddoto divertente. Parte per l’Unione Sovietica un gruppo di giovani architetti, impegnati, rigorosi, di sinistra: Guido Canella, Gae Aulenti, probabilmente Vittorio Gregotti. Incontrano il compagno rettore della facoltà di architettura, che viene loro incontro gridando: “Come sta il mio amico Portaluppi?” Restano di sale. Mio bisnonno ha lavorato moltissimo durante il Ventennio. Nel processo di epurazione è stato scagionato. Eppure in Italia per anni è stato dimenticato. Un lungo oblio, che però non è mai stata un’attraversata solitaria del deserto. Portaluppi ha fatto scuola, ha formato allievi importantissimi».
Quindi, il più bello? «Il suo studio a Milano e lo Stabilimento della Società Ceramica Italiana a Laveno».
Uno scorcio dell’interno della milanese Villa Necchi Campiglio (oggi di proprietà del FAI) , costruita fra il 1932 e il 1935 (foto ipa-agency.net)
Nell’introduzione al libro, parla di militanza... «La mia famiglia e io in questi anni abbiamo cercato di squarciare l’oblio, andando a riscoprire le sue opere. La prima tappa è stata l’istituzione nel 1999 della Fondazione Piero Portaluppi, di cui mia zia Letizia Castellini Baldissera è presidente. Hanno seguito la mostra alla Triennale, il restauro di Villa Necchi, magnificamente immortalata da Luca Guadagnino nel suo film Io sono l’amore , il documentario L’Amatore e infine questo libro».
Oltre all’onere e l’onore di preservarne la memoria e diffonderne il lavoro, che cosa vi ha lasciato Piero Portaluppi? «Intanto è riuscito nell’impresa impossibile di ingentilire, allungare e snellire i Castellini: un’eredità somatica insomma. Poi, ha infuso in questa schiatta piuttosto severa di ufficiali di cavalleria e direttori generali, ironia, autoironia e gioia di vivere, ma soprattutto una speciale inclinazione per il bello. Lui amava la bellezza nelle persone, nelle donne, nelle case, nelle cose...».
Il planetario Hoepli (1929-1930), ai Giardini pubblici di corso Venezia a Milano (foto di Ciro Franck Schiappa)
Insomma Almanacco di Bellezza nasce qui? « Almanacco nasce dall’amicizia con Leonardo Piccinini. Cercavo un pretesto per poter lavorare con lui e durante il primo lockdown ho avuto la folgorazione. La trasmissione è nata in maniera spontanea, casereccia. È stato il nostro antidoto in quel periodaccio, e lo è rimasto: un antidoto contro il veleno della vita moderna. La bellezza, ma anche la bruttezza, la miseria e la nobiltà, la cultura insomma sondata con allegria e curiosità. Come piaceva al bisnonno».
La Casa d’appartamenti Portaluppi, in via Morozzo Della Rocca 5 (1935, 1938-1940). Foto di Ciro Franck Schiappa
Lavorare per lei significa collaborare. « Almanacco non potrei farlo con nessun altro, così come l’opera non potrei metterla in scena con altri che non sia Paolo Gavazzeni. Leonardo, Paolo ed io apparteniamo allo stesso giardino zoologico. Ci siamo riconosciuti subito, complici e complementari. A marzo a Catania debutta Adriana Lecouvreur . È la prima volta che affrontiamo questo titolo, sebbene sia scritto nel DNA di Paolo, che l’ha ascoltata diretta dal nonno (Gianandrea Gavazzeni, nda ) almeno una dozzina di volte».
L’amore per la musica classica com’è nato? «Nei viaggi in auto con mio padre (Vincenzo Maranghi, braccio destro di Enrico Cuccia a Mediobanca e successivamente amministratore delegato, nda ), che ascoltava soprattutto ‘800 sinfonico tedesco, e in cucina con mia madre, che preferiva i russi e i grandi pianisti. Io ascoltavo musica rock: Clash, Rolling Stones, Pink Floyd. Poi cominciai uno stage alla televisione. Classica non esisteva. Era tutta da fare. Entrai a luglio e a settembre curavo il palinsesto. Non ne sapevo niente, ma la televisione e il suo risvolto sociologico m’interessavano. Ho trovato il modo di combinare due mondi all’apparenza così inconciliabili: la musica classica e la tv. Anche in questo caso si è trattato di un sodalizio, di un incontro prima di tutto umano con Paolo e Amerigo Daveri. Le scelte artistiche, le scelte di campo, per me restano innanzitutto scelte umane».
Sopra, la Casa degli Atellani di corso Magenta, a Milano, dimora rinascimentale ristrutturata da Portaluppi, venduta lo scorso dicembre a Bernard Arnault, proprietario di Lvmh
La casa degli Atellani, la casa restaurata e dove ha abitato Portaluppi, è diventato un perno della vita culturale milanese. Mostre, libri, concerti, aste di beneficenza, il restauro della vigna di Leonardo, visite guidate, oltre a feste memorabili. Poi, lo scorso dicembre, la notizia della prossima vendita a Bernard Arnault, l’uomo più ricco del mondo... «La nostra è stata una forse maldestra, ma generosa restituzione della casa alla città. Con noi o senza di noi, questo fatto non cambierà». Agere non loqui era il motto di Portaluppi, scritto proprio su un muro della casa. Agire e non parlare: vale anche in questo caso.
Autorizzaci a leggere i tuoi dati di navigazione per attività di analisi e profilazione. Così la tua area personale sarà sempre più ricca di contenuti in linea con i tuoi interessi.