Doppia elica, la scoperta della struttura del DNA oggi compie 70 anni

2023-03-08 17:06:14 By : Ms. vicky xu

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Il 28 febbraio 1953, Watson e Crick scoprivano la struttura a doppia elica del DNA, ma è solo una tappa in una storia lunga 150 anni, fatta di grandi uomini, grandi donne e grandi scoperte!

Il 28 febbraio 1953 James Watson e Francis Crick intuiscono per la prima volta nella storia la struttura del nostro DNA. Anzi, con buona pace dell’antropocentrismo, i due scienziati del Cavendish Laboratory di Cambridge scoprono la forma del DNA di tutti gli esseri viventi. Prendete nota: ogni essere vivente sul nostro pianeta custodisce la sua essenza biologica in questa strepitosa molecola in grado di immagazzinare le informazioni per costruirlo e di passarle alle generazioni successive.

Non importa che si tratti di batterio, sequoia, fungo o elefante: la vita sul nostro pianeta parla la lingua del DNA. Ecco perché, verso la metà del ‘900, riuscire a decodificarne la struttura era diventato un ambizioso obbiettivo per diversi gruppi di ricerca. E quando quella mattina di settant’anni fa Watson e Crick completarono il primo modello in metallo e cartoncino, non poterono che rimanerne affascinati.

Prima di addentrarci nella storia della sua scoperta, facciamo mente locale sulla struttura chimica del DNA. Come molte altre molecole biologiche, il DNA è un polimero, ovvero una molecola formata dal ripetersi di singole unità base. L'unità base del DNA è chiamata nucleotide; ciascun nucleotide è formato da un gruppo fosfato, una molecola di zucchero desossiribosio e una di quattro basi azotate: adenina, timina, citosina e guanina. Nel DNA ci sono due catene di nucleotidi complementari. Infatti, le basi azotate funzionano come i denti di una cerniera, con l'adenina che si lega sempre alla timina e la citosina alla guanina. Le due catene complementari sono poi avvolte ad elica attorno ad un asse centrale.

La scoperta della doppia elica ha certamente segnato una tappa fondamentale nella storia della scienza. Tuttavia, nel suo settantesimo compleanno, sarebbe ingiusto non prendersi qualche riga per sottolineare un concetto essenziale del progresso scientifico: se c’è una cosa che possiamo imparare dall’affascinante storia della doppia elica è che le grandi scoperte non vengono mai fatte da singole persone. Watson e Crick sono per antonomasia i signori del DNA; eppure, in quella mattina di febbraio, nello studio dove si componeva il puzzle della molecola della vita, si trovava virtualmente una moltitudine di scienziati e scienziate che negli anni precedenti aveva già diviso i pezzi per colore, assemblato tutti i bordi e completato buona parte del disegno.

La storia di questo puzzle inizia 154 anni fa, in Svizzera. Nel 1869 il biologo Friedrich Miescher voleva studiare le proteine dei globuli bianchi estratti dalla bende purulente del vicino ospedale. Tuttavia,  insieme alle proteine, trovò una sostanza con proprietà chimiche molto diverse e, soprattutto, ricca di fosforo. Miescher pensò che quella sostanza venisse dal nucleo delle cellule e la chiamò “nucleina”. Dobbiamo aspettare Albrecht Kossel, nel 1881, per poter cominciare ad usare la parola DNA. Il biochimico tedesco era riuscito ad isolare le 5 basi azotate che costituiscono gli acidi nucleici (DNA e RNA), ovvero Adenina, Timina, Citosina, Guanina e Uracile.

Fu poi il turno di Phoebus Levene, un medico russo col pallino per la chimica, che nel 1919 suggerì che il DNA avesse una struttura modulare, cioè fatta dal susseguirsi di unità base dette nucleotidi, ciascuna formata da una base azotata, dallo zucchero desossiribosio e da un gruppo fosfato. Ma una delle scoperte chiave che avrebbe meritato il premio Nobel tanto quanto la doppia elica, è stata quella fatta da Oswald Avery e colleghi nel 1944.

Dovete sapere che fino a quel momento, la stragrande maggioranza degli scienziati riteneva che le proteine fossero le molecole in grado di trasmettere informazioni genetiche da una generazione all’altra. Infatti, le proteine sono incredibilmente più complesse del DNA: possono assumere innumerevoli forme, hanno strutture molto complicate e sono composte da una ventina di tipi diversi di amminoacidi. A rigor di logica, la chimica delle proteine offriva un alfabeto molto più ricco per poter immagazzinare informazioni. Nulla di più sbagliato.

Avery ed il suo team dimostrarono in modo inequivocabile che era proprio il DNA a contenere le informazioni genetiche e a trasmetterle di cellula in cellula. Non tutti gli credettero: è sempre difficile cambiare convinzioni così radicate. Il biochimico austro-ungarico Erwin Chargaff, invece, ne rimase affascinato e nel 1950 scoprì un ulteriore pezzo del puzzle: in una molecola di DNA il contenuto di adenina è uguale a quello di timina, e quello di citosina combacia con quello di guanina.

Arriviamo così al 1953, quando tre gruppi di ricerca erano ad un passo dal riuscire a capire la forma della misteriosa molecola: Pauling al California Institute of Technology, Franklin e Wilkins al King’s College di Londra e Watson e Crick al Cavendish di Cambridge. A ciascuno di loro va il merito di aver posizionato uno degli ultimi pezzi di questo puzzle. Linus Pauling aveva fatto passi da gigante nel costruire i modelli molecolari studiando angoli e distanze che le molecole assumono quando si legano insieme, Rosalind Franklin avevano scattato delle meravigliose foto del DNA utilizzando la rifrazione a raggi X ed infine Watson e Crick intuirono che le due catene che formano la doppia elica potessero correre in due sensi opposti (in termini tecnici, sono antiparallele).

Successe poi che Watson riuscì a spiare una foto scatta dalla Franklin, all’insaputa della talentuosa scienziata. Si tratta della celebre foto 51 che mostra chiaramente (per chi sa come leggerla) una struttura ad elica.

Quell’informazione fu rivelatrice! 9 anni più tardi, nel 1962, Watson, Crick e Wilkins ricevettero il premio Nobel per la scoperta. Rosalind Franklin morì nel 1958, a soli 38 anni, in seguito all’esposizione prolungata ai raggi X. Il premio Nobel non poteva essere assegnato postumo ed il contributo della brillante scienziata non venne riconosciuto per molti anni; oggi, gli storici della scienza si interrogano se Watson e Crick sarebbero mai riusciti a completare il loro modello senza quella sbirciatina alla foto 51.

A prescindere dall’ingiusto trattamento subito da Rosalind Franklin, non possiamo però non fare una riflessione. I tempi per quella scoperta erano maturi e, anno più, anno meno, il decennio ‘50-‘60 sarebbe comunque stato ricordato per la scoperta della doppia elica. Come abbiamo raccontato, i pezzi del puzzle erano tutti già disposti e già abbondantemente assemblati. Successe più o meno quello che accadde a Darwin con la Teoria dell’Evoluzione: il fatto che Alfred Russell Wallace fosse giunto alle stesse conclusioni del naturalista inglese, significa che quello era il momento storico perché quell’intuizione potesse iniziare ad emergere nella coscienza scientifica dell’epoca.

La saga del DNA è continuata per altri 70 anni, ricca di eventi che la rendono avvincente e, in un certo senso, estremamente pop! Infatti, la doppia elica va ben oltre il suo stretto significato molecolare. La forma del DNA è diventata, insieme al modello atomico planetario e alla formula E = mc2, il simbolo della scienza per eccellenza. Il successo sociale della doppia elica risiede solo in parte in ciò che rappresenta scientificamente. Sicuramente è affascinante pensare che in quella struttura dimori l’essenza di ciascun essere vivente; spesso ci capita di usare frasi come “ce l’ho nel DNA” quando ci riferiamo a qualcosa che ci contraddistingue in modo viscerale. Tuttavia, quello che ha reso il DNA così pop è la sua forma elicoidale, così elegante e moderna da essere universalmente riconosciuta come “bellissima”.

Per l’essere umano, osservare qualcosa di bello significa vivere un’esperienza appagante per il cervello. Si ritiene che questo accada quando riconosciamo forme e pattern ispirati alla natura che, nel corso dell’evoluzione, il nostro cervello ha imparato a riconoscere e distinguere. La forma elicoidale del DNA la ritroviamo nelle conchiglie, nelle piante, nelle corna degli animali. Ha ispirato l’arte, l’architettura  e la moda prima ancora di Franklin, Wilkins, Watson e Crick. Ci lasciamo allora con una domanda sulla quale riflettere: se il DNA avesse avuto una forma più complessa ed arzigogolata, come ad esempio quella dell’emoglobina, avrebbe avuto lo stesso successo? Sarebbe comunque diventata l’icona del progresso scientifico?

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