La voce de La Stampa
Nell’industria dei tempi difficili giubbotti antiproiettile per la Nato e kit sanitari per l’esercito
Chi combatte per difendere l’Ucraina indossa anche giubbotti antiproiettile prodotti a Lesa e soccorre i feriti sul campo di battaglia con i kit degli zaini medici assemblati a San Pietro Mosezzo, alle porte di Novara. È una delle tante facce che mostrano quanto sia vicina la guerra.
A Lesa, sul Lago Maggiore, in queste settimane c’è stato un gran viavai alla «Parnisari». Hanno bussato anche molti ucraini residenti in zona- il Novarese è la provincia del Piemonte che ha accolto più profughi - per spedirli a mariti, fratelli e amici in patria. «Siamo stati contattati anche dai battaglioni ucraini - racconta Cinzia Parnisari, la titolare - ma in questo momento con i conti correnti bancari è difficile far arrivare la merce se non con i corridoi umanitari».
I giubbotti proteggono anche dai colpi di kalashnikov. Cinzia non ha nessun dipendente: «Mi aiutano mio marito Carmelo e mia figlia Brigitte. Alle ditte esterne commissiono soltanto i rivestimenti in tessuto. Tutti i giubbotti vengono assemblati qui e io stessa compongo i pacchi balistici (l’interno con varie piastre, ndr) per essere sicura che il lavoro venga fatto a regola d’arte: da questi giubbotti dipende la vita delle persone. Sono oggetti di difesa, non mezzi di morte».
Un giubbotto antiproiettile costa da 600 a 3.000 euro per quello da combattimento con la protezione del collo e della zona pelvica. A Lesa si producono anche protezioni per neonati e bambini ma finora questo mercato non è decollato.
La storia della Parnisari - azienda che partecipa a gare per equipaggiare eserciti e polizie in tutto il mondo - affonda le radici nel 1949 quando Gianni, il nonno partigiano di Cinzia, alla produzione di camicie iniziò ad affiancare quella dei giubbotti antiproiettile.
Anche alla Flamor di San Pietro Mosezzo, dopo il 24 febbraio, sono arrivati a bussare per acquistare zaini medici e le speciali barelle con le ruote che possono muoversi più facilmente sui campi di battaglia e soprattutto possono essere manovrate anche da una persona soltanto. Il prodotto più importante è lo zaino salvavita.
«Contengono - spiega Flavio Limontini, l’ad della Flamor - dotazioni sanitarie del ministero della Difesa che il dipartimento di Sanità ha progettato e organizzato nel modo più efficiente possibile». L’attenzione è massima sul peso e sulla versatilità d’utilizzo di ogni singolo presidio medico, come il collare che può servire anche a steccare un braccio o una gamba e che mantiene tutte le sue caratteristiche di rigidità anche se si può arrotolare come un foglio di carta. O come la «benda israeliana» che sostituisce in un unico oggetto tampone, garza, benda e forbice ed è confezionata sottovuoto per ridurre spazio.
«Gli zaini che produciamo - spiega Limontini - sono di tre linee. C’è un piccolo kit di automedicazione grande come un marsupio per ogni soldato, con tutto quello che può fermare un’emorragia, la principale causa di morte in battaglia. Poi c’è lo zaino soccorritore da 35 chili con più dispositivi per soccorrere anche i compagni. Si apre la cerniera e il contenuto è suddiviso in comparti trasparenti per vedere subito e afferrare ciò che serve senza perdere un secondo. A ogni sacca corrisponde un tipo di trattamento. In quella principale c’è l’occorrente per le emorragie.
Durante la seconda guerra del Golfo questi zaini-soccorritore hanno permesso di salvare molti soldati colpiti dalle mine. Per le ferite toraciche ci sono “tappi” speciali da applicare sul foro del proiettile. Nel kit anche l’ago intraosseo per infondere liquidi o farmaci. Dispositivi piuttosto cruenti ma indispensabili in scenari dove occorre fare presto e bene per salvare vite umane».
C’è poi un altro zaino, ancora più grande di quello da 35 chili, in dotazione al medico nelle retrovie. Anche questo è in cordura, idrorepellente e con colori mimetici. Le istruzioni sono state tradotte anche nell’alfabeto cirillico.
«Il tempo - conclude Limontini - è quello che fa la differenza tra la vita e la morte. Con i nostri zaini e il contenuto medico che trasportano le possibilità di sopravvivenza di una persona ferita aumentano in modo esponenziale». Con la speranza che torni, prestissimo, anche il tempo della pace.
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