Ulcere e terapia compressiva: ecco cosa c'è da sapere. - Quotidiano Sanitario AssoCareNews.it

2023-03-08 17:04:01 By : Ms. mary hou

L’ulcera è una ferita che tende, per diversi motivi, a rimanere aperta e a cronicizzare invece di guarire. La causa principale è una patologia a carico del distretto venoso o arterioso. L’ulcera, però, può essere anche una complicanza o una conseguenza di altre patologie, quali dermatiti, malattie reumatologiche, ipertensione arteriosa, diabete, traumi o tumori maligni.

Si stima che il 70% delle ulcere sia a carico delle vene, mentre il 15% sia riconducibile all’occlusione di un’arteria. La restante parte sembrerebbe avere, invece, una componente mista. Per una corretta diagnosi, si effettua l’eco-color-doppler. Questo esame consente di distinguere l’ulcera venosa da quella arteriosa, per intraprendere la terapia corretta.

L’ulcera di origine arteriosa è generalmente una conseguenza della chiusura improvvisa del vaso sanguigno, un meccanismo che è anche causa di eventi cardiovascolari importanti quali infarto o ictus. La chiusura di un’arteria periferica è responsabile del mancato apporto di ossigeno a livello del tessuto che circonda il vaso sanguigno, che va così incontro a necrosi (morte tissutale).

La cura delle ulcere arteriose, dunque, è incentrata sul ripristino dell’apporto di ossigeno nelle zone colpite. Tra le tecniche più utilizzate c’è l’angioplastica, che serve a dilatare un restringimento (stenosi) dell’arteria. In alternativa, si può applicare un bypass chirurgico, per “superare” la porzione ostruita di vaso arterioso. In entrambi i casi, si riesce a ripristinare il corretto flusso sanguigno.

Le ulcere venose insorgono, in genere, in sede mediale, regione perimalleolare. La cute perilesionale appare iperpigmentata, per l’accumulo dell’emosiderina, con zone di atrofia bianca di Milligan, lipodermatosclerosi. Il fondo della lesione può essere fibrinoso o granuleggiante, con bordo poco rilevato o piatto, a forma irregolare. La sintomatologia dolorosa è, in genere, assente, o quando presente si attenua con la sopraelevazione dell’arto. I polsi periferici sono presenti. All’anamnesi si potrà evidenziare pregresse TVP o un’insufficienza venosa cronica di vecchia data mal curata. Possono essere presenti i segni delle patologie di base: prurito, crampi notturni, senso di peso, parestesie.

Il cardine della terapia è rappresentato dal: bendaggio elastocompressivo atto a correggere l’ipertensione venosa e tecniche di medicazione.

E’ necessario valutare qual è la causa scatenante e se esistono altre patologie dell’arto che possono essere corrette soprattutto di carattere dermatologico e ortopedico; qual è l’eziologia della lesione e se esistono condizioni generali sfavorevoli situazioni che possono ritardare la guarigione; qual è la situazione sociale del paziente e quale la sede ideale per la medicazione.

Vautare la storia dell’ulcera, storia del trattamento dell’ulcera, farmaco –terapia, valutazione bilaterale degli arti , dolore, nutrizione, allergie, stato psicosociale (incluso la qualità di vita), stato funzionale e cognitivo, emotivo e abilità al self care, qualsiasi altro test pertinente alle condizioni del paziente

Una patologia venosa degli arti inferiori viene valutata inizialmente attraverso la combinazione dell’esame clinico e una misurazione dell’indice pressorio caviglia braccio (Indice di Winsor -ABI) La misurazione mediante doppler ad ultrasuoni dovrebbe essere effettuata da professionisti addestrati a tale misurazione.

Per elastocompressione intendiamo l’applicazione sulla superficie di un arto di materiali atti a bilanciare condizioni d’ipertensione venosa e/o di stasi linfatica. Il passaggio di liquidi attraverso una membrana è regolato dalla legge di Starling,secondo la quale la forza di filtrazione (F) dipende dalla permeabilità della parete capillare (coefficiente di filtrazione )e dal gradiente si pressione idrostatica e oncotica tra sangue e tessuti. In presenza di un gradiente di pressione oncotica su una membrana semi-permeabile, capillare, si determina un passaggio di liquidi attraverso la barriera fino al raggiungimento della stessa concentrazione da entrambi i lati.L’applicazione esterna di una compressione provoca un aumento della pressione tessutale locale,riducendo la perdita dei fluidi ,determinando contemporaneamente un riassorbimento degli stessi nei vasi.

La capacità di una benda di allungarsi se sottoposta ad una forza è definita estensibilità o capacità di allungamento.Raggiunto un determinato grado di allungamento,la struttura fisica della benda impedisce ulteriori estensioni..

Le bende utilizzate nell’elastocompressione vanno suddivise in :

La benda anaelastica per eccellenza è quella all’ossido di zinco, utilizzata per bendaggi fissi, lasciati in sede anche per più giorni.

Le bende elastiche vanno distinte, a seconda della loro estensibilità, in :

I valori di queste pressioni non dipendono solo dalla deambulazione ma anche dal grado di elasticità del sistema utilizzato. In base a tali pressioni possiamo distinguere due grandi tipologie di mezzi compressivi:

La compressione attuata con bende rigide anelastiche è caratterizzata dalla “invariabilità del sistema”, cioè la benda non si distende seguendo la sistole muscolare (invariabilità nell’adattamento volumetrico dell’arto). Tali bende avranno una bassa pressione di riposo ed un’ alta pressione di lavoro perché ostacolano l’espansione verso l’esterno del muscolo creando una sorta di effetto barriera. Proprio tale barriera rigida si estrinseca migliorando l’efficienza della pompa venosa muscolare.

Viceversa le bende elastiche seguiranno l’espansione volumetrica muscolare sistolica lasciandosi estendere. Non opponendo l’effetto barriera dei sistemi rigidi avranno una bassa pressione di lavoro e una alta pressione di riposo. In generale quanto più in estensibile è una benda tanto maggiore sarà la pressione di lavoro con azione in profondità, le bende a corta elasticità hanno una azione in profondità meno evidente, ma spesso sufficiente, e infine quelle a lungo allungamento hanno una azione superficiale che spesso deve essere supportata da una compressione eccentrica.

Il concetto di pressione di lavoro e riposo ci consente di comprendere le differenze esistenti tra contenzione e compressione elastica:

azione passiva (statica) di un sistema di compressione rigido, che essendo più o meno inestensibile si oppone alla dilatazione sistolica muscolare sviluppando una elevata pressione di lavoro (effetto di rinforzo sulle pompe venose).

azione attiva esercitata a riposo su un arto per le caratteristiche più o meno elastiche del sistema utilizzato con sviluppo di alte pressioni di riposo; la gamba è compressa a riposo, non contenuta. Questi tipi di bendaggio sono mal tollerati a riposo proprio in virtù dell’alta pressione di riposo (non tollerati di notte ecc).

Prima di praticare un bendaggio elastocompressivo, sia esso in mono che in duplice strato è necessario considerare alcuni parametri:

Alla presenza di un’ulcera mista il bendaggio elastocompressivo è controindicato o va fatto con particolare cautela.

Alla presenza d’alti livelli d’essudato, con cambi frequenti di medicazioni, sono da preferire bendaggi di tipo mobile anziché fisso.

La deambulazione influenza il tipo di bendaggio: in un paziente che deambula il bendaggio anaelastico o a corto allungamento mostra il massimo dell’azione emodinamica.

L’utilizzo di medicazioni avanzate con caratteristiche d’elevata adsorbenza ha fatto si che anche nelle ulcere con notevole essudato si possano applicare bendaggi fissi e a doppio strato.

In particolare una medicazione costituita da schiuma di poliuretano permette, grazie alla sua struttura alveolare e tridimensionale. di assorbire ma anche trattenere l’essudato sotto elastocompressione .Questa caratteristica permette un:

L’introduzione in campo terapeutico di materiali quali, le schiume di poliuretano e gli alginati ha determinato un miglioramento nella gestione delle ulcere e dei bendaggi elastocompressivi.

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