Esattamente un anno fa a Kiev sentimmo la prima esplosione mentre i carri armati russi entravano nell’est dell’Ucraina. Oggi in Donbass continuiamo a sentire esplosioni ma a Kiev il presidente Zelensky parla di «vittoria certa».
L’anniversario dell’invasione si è rivelato un giorno di guerra come gli altri sul campo. Non c’è stato il tanto temuto bombardamento a tappeto delle città ucraine e non si registra alcuna operazione particolare sui fronti aperti. In un piccolo villaggio rurale, senza nome per motivi di sicurezza, più o meno a metà strada tra Kramatorsk e Bakhmut, da circa tre mesi è stato allestito un centro di stabilizzazione militare. In pratica un pronto soccorso non ufficiale dove operano medici e paramedici militari e volontari vicino al fronte. In questo tipo di strutture vengono portati sia i feriti più gravi, quelli che non supererebbero un viaggio troppo lungo verso i veri ospedali militari, sia i feriti lievi, quelli che necessitano qualche punto di sutura, un trattamento per le ustioni più lievi, una fasciatura prima dell’ortopedico.
LE AMBULANZE arrivano e ripartono in continuazione e gli addetti entrano e escono con le barelle occupate dai feriti in arrivo e da quelli che vengono trasferiti nelle retrovie. Ieri un gruppo di soldati è stato trasportato in blocco in seguito all’esplosione di un ordigno nemico nelle trincee. Un ragazzo aveva talmente tante ustioni da non avere più un lembo di pelle libera dalla cinta in su. Le fasce bianche gli coprivano anche tutta la testa lasciando due piccole fessure per gli occhi che, a quanto pare non avevano riportato danni, e una per la bocca. Uno spilungone molto magro, lo si indovinava dal vuoto tra la giacca militare e il braccio del commilitone che lo sosteneva verso l’ambulanza.
L’ALTRO, PIÙ BASSO e molto più in carne, era stato ferito a una gamba. Il pantalone gli è stato tagliato all’altezza del ginocchio una fasciatura spessa, già tutta rossa per il sangue assorbito, dondolava insieme al suo passo zoppicante. Lo spilungone più di una volta ha rischiato di cadere, le gambe gli si piegavano evidentemente per la debolezza. Prima di entrare in ambulanza, nel tentativo di scalare il predellino del mezzo, si è fermato a vomitare.
A KIEV il presidente Zelensky ha vissuto una giornata molto intensa. A partire dalla mattina, quando ha pronunciato il discorso di ringraziamento alle forze armate ucraine. «Il vostro sacrificio – ha dichiarato solennemente il leader del paese invaso – ha permesso a noi di resistere e all’Ucraina di esistere ancora, nonostante la minaccia russa». «Se oggi possiamo ricordare gli eventi di quest’ultimo anno e augurarci che la vittoria arrivi al più presto è grazie a voi», ha continuato il presidente riferendosi «agli eroici uomini e donne che hanno combattuto contro l’aggressore». E non potevano mancare i ringraziamenti agli alleati sia per il supporto militare sia per quello economico. Com’è ormai tradizione in quasi tutte le uscite pubbliche del presidente ucraino c’è stato ancora una volta il richiamo alle «responsabilità collettive» del blocco occidentale, chiamato a «difendere la democrazia contro la barbarie».
Un’ambulanza uscendo dal posteggio riparato (in realtà non proprio riparato dato che l’albero scelto come scudo è del tutto secco, ma non è mai il caso di discutere con un autista di ambulanza, figurarsi in guerra) prende un frammento di qualcosa. Si sente subito un sibilo, uno dei volontari inizia a gesticolare da fuori ma l’autista parte lo stesso, dopo poco però se ne accorge e fa richiamare i militari nel centro che escono per sfilare nuovamente le barelle dal retro del mezzo e cambiare la ruota tra improperi e gesti di stizza sul ghiaccio e il fango. Da lontano si sentono dei boati più forti. «Eta nasha» mi dice uno dei soldati per spiegarmi che il colpo in uscita «è il nostro» e osservando la sigaretta di tabacco che fumo, chiede se si tratta di uno spinello e ride.
«POSSIAMO FARE un selfie insieme, è per mio figlio» chiede un giornalista dell’Azerbaijan al presidente Zelensky prima di porre la sua domanda durante la conferenza stampa che la presidenza ucraina ha organizzato con i giornalisti internazionali a Kiev. Un altro dei momenti di grande emotività che caratterizzano l’azione comunicativa dell’ex uomo di spettacolo che non si lascia mai sfuggire queste occasioni. Ma da mattatore del palcoscenico il leader ucraino sa dosare il serio e il faceto e subito torna al punto. «Rispettate il nostro diritto di vivere sulla nostra terra, lasciate il nostro territorio, smettetela di bombardarci» proferisce, rivolto direttamente ai militari russi. Intanto il primo ministro Schmyal pubblica le foto della visita dell’omologo polacco Morawiecski che accompagna i primi panzer Leopard 2 giunti in territorio ucraino. Intanto da Berlino, il ministro della difesa tedesco Pistorius annuncia l’invio di altri 4 carri armati a Kiev, portando il numero totale di mezzi a 18, e l’ex premier britannico Johnson insiste sulle forniture di caccia all’Ucraina.
CI FACCIAMO superare dalle ambulanze che procedono lentamente sul manto stradale disastrato, ogni sussulto deve essere come una coltellata per i ragazzi stesi sulle barelle nel cassone. Al bivio verso Slovjansk svoltano a sinistra, verso l’interno del Donetsk. I feriti saranno portati a Kramatorsk o più a ovest, a Pokrovsk. Non hanno voluto dircelo.